Hanno dominato lo scacchiere europeo per decenni, oggi faticano ad arginare l’ondata delle Online Travel Agency, ma ce la mettono tutta per trovare spazio online e per garantire qualità ai turisti.
“La vecchiaia non è così male se si considera l’alternativa.”
Maurice Chevalier
Dopo aver parlato nel post precedente di Priceline e Expedia, affrontare oggi l’analisi dei modelli di business di due “dinosauri” come TUI e Thomas Cook è un esercizio abbastanza difficoltoso.
Se vogliamo partire dall’aspetto finanziario, parliamo di aziende che fatturano tra i 17 (TUI) e gli oltre 8 (Thomas Cook) miliardi di euro e di utile operativo 898 milioni di euro la prima e 229 la seconda.
Priceline ha un revenue di 9 miliardi di euro (in gran parte fattura solo commissioni) e ne realizza quasi un terzo del fatturato di EBIT (3 miliardi di euro).
Ed è questo per gli investitori che Priceline capitalizza 80 miliardi di euro, Expedia 20, Tui 8,78 e Thomas Cook 1,84.
Certo, le OTA hanno un gran futuro visto che presto tutto il turismo passerà per l’internet, ma ancora i due dinosauri europei realizzano circa il 40% del revenue in rete.
Le OTA hanno una infrastruttura tecnologica importante.
Anche TUI e Thomas Cook non scherzano a livello di infrastrutture, assai diverse ma anche loro hanno della sostanza nelle loro organizzazioni.
TUI ha la bellezza di 66 mila dipendenti, 11 milioni di clienti, 1800 agenzie, 300 hotel, 150 aerei, 14 navi da crociera, 5 operatori aerei.
Thomas Cook schiera 22 mila dipendenti, 19 milioni di clienti, quasi 3000 agenzie, 190 hotel, 94 aerei.
Se vogliamo analizzare le differenze di business tra i due tour operator, possiamo mettere in evidenza, come appare dalle relazioni agli azionisti, la TUI si focalizza su un target di clientela più elevato, con una particolare attenzione alla sostenibilità, al clima, al servizio rivolto all’ospite e immagina il digitale più come servizio al cliente durante la vacanza piuttosto che come canale di vendita.
La Thomas Cook sta cercando di riposizionarsi nel settore alberghiero e cerca di aumentare la presenza nell’investimento immobiliare (investimento in LMEY, dal quale è scaturito l’acquisto del 42% Aldiana, che gestisce 8 resort in Spagna, Grecia, Cipro, Tunisia e Austria).
Entrambi i gruppi evidenziano un miglioramento delle vendite online anche se non danno precisi riferimenti nei loro report agli azionisti.
Nel frattempo TUI esce dalla bed bank (che poteva essere sfruttata molto online) Hotelbeds e punta sui millenials strizzando l’occhio alla Blockchain.
Thomas Cook mette a segno un accordo per vendere gli hotel della piattaforma di Expedia in luoghi dove non dispone di prodotti (per esempio nelle città) e allo stesso tempo si accorda con Solocal per l’utilizzo di Bridge da parte delle agenzie del gruppo, un sistema che ha quintuplicato il traffico online di Jet Tours e Thomas Cook Stores.
Nel settore aereo, secondo alcuni analisti TUI, che è in trattative con Ethiad per creare un nuovo vettore low cost, opera maggiormente per i clienti che acquistano pacchetti organizzati dai marchi del gruppo, mentre Thomas Cook utilizza i propri vettori anche per voli charter di terzi.
Possiamo dire che mentre le OTA stanno monopolizzando il settore della distribuzione, i vecchi tour operator stanno cercando di focalizzarsi sulla creazione del prodotto, arrivando a gestire direttamente sempre più componenti del pacchetto turistico: hotel, aereo, transfer, nave.
In particolare, si evince più chiaramente dalle strategie TUI, per poter generare un prodotto di alta qualità per onorare la promessa chiara e importante che campeggia all’inizio del report annuale agli azionisti:
“We deliver what we promise”
firmato Friedrich Joussen, CEO of TUI AG
Una bella differenza con l’effetto wow delle OTA.
TUI garantisce quel che promette, senza sorprese.
E questo mi sembra un patto sano tra operatore e turista, un patto dal quale si può serenamente ripartire per riqualificare il turismo in tutto il mondo.
Robi Veltroni
Comitato di Programma BTO2017 | TEN